Other Media

LA SALA VERDI, MANZONI, PONCHIELLI: INDICAZIONI GEOGRAFICHE PER UN’EMOZIONE

”Il pubblico potra’ interessarsi, trovandosi dinanzi a una nuova raffigurazione di qualche episodio (de I Promessi Sposi ) celeberrimo. Ma un piacere anche piu’ forte lo provera’ sempre se di tale episodio gli venga offerto un quadro che ne riassuma e coroni di geniale prestigio l’aspetto tradizionale.”

Emilio Cecchi, Osservazioni sul trattamento de I Promessi Sposi

Esisteva da tempo l’intenzione, da parte della Direzione del Conservatorio di Milano, di una trasformazione della sala Verdi in uno spazio che offrisse la possibilita’ di rappresentare opere oltre che concerti. Essendo la sala concepita come un auditorium, si rendeva necessaria la costruzione di una buca per l’orchestra e la cancellazione delle differenze di livello sul palco in modo da permetterne l’utilizzo da parte dei cantanti con un uso dello spazio piu’ flessibile di quello che era in precedenza, anche dal punto di vista dei movimenti di scena.
L’intervento che ho avuto il privilegio di condurre insieme al Conservatorio e ai miei colleghi e studenti della Accademia di Brera nell’ambito di una convenzione gia’ sperimentata con successo tra le due istituzioni mira a ottenere la maggiore flessibilita,’ lasciando alla Sala Verdi intatte le caratteristiche di sala da concerti, ma con la possibilita’ di essere trasformata nel modo che ho descritto. Il risultato e’ che nel caso di rappresentazioni di opera (ma tutto l’intervento e’ completamente rimuovibile in caso invece di concerto), si puo’ avere un miglioramento dell’uso dello spazio, senza con questo scimmiottare la conformazione di uno spazio teatrale tradizionale. Si e’ anche migliorata l’acustica creando l’ intercapedine sotto l’orchestra, che e’ stata prolungata verso la sala, e sotto il palco, che e’ stato alzato considerevolmente.
Tutto l’intervento sulla sala segue le line compositive della sua forma originale; in questo anche Manzoni e Ponchielli ci hanno aiutato: nella progettazione dell’ allestimento de I Promessi Sposi e’ venuto quasi spontaneo, pensando alla descrizione del paesaggio nel Manzoni, a questo allargamento a imbuto, suggerito dalla conformazione della sala, che coinvolge lo spettatore, circondandololo del vasto paesaggio che accompagna sempre l’azione dei personaggi. Attraverso la fuga prospettica verso il fondo, accompagnata dal fluire dell’acqua ai lati che si muove insieme al cielo mutevole e splendido di Lombardia, , abbiamo cercato di restituire il senso del viaggio verso la citta’ di Renzo e Lucia, verso il loro ritrovarsi lontano per poi tornarne arricchiti di una nuova visione che li fa interpreti di una trasformazione dalla civilta’ contadina a quella preindustriale.
Nessuna “attualizzazione” era attuabile: qualunque intervento atto a stravolgere una rappresentazione di caratteri come allo stesso modo una lettura stravolgente della conformazione dello spazio dato erano motivate. Sia nell’opera che nello spazio a disposizione,abbiamo visto I suggerimenti necessari a proiettarla verso di noi. Ancora una volta, bastava saper leggere gli indizi, bastava saper ascoltare. Riallacciandomi alla frase di Cecchi citata sopra e applicandola alla trasformazione che della sala Verdi del Conservatorio e’ stata fatta, e del contributo ideale che Manzoni e Ponchielli hanno dato anche in questo, e’ come seil pubblico, entrando nello spazio a lui arcinoto della sala stessa e rivedendolo tal quale, lo riconoscesse ma completamente ampliato nella nuova funzione a cui non era originariamente deputato, lo vedesse rivelare nuove e inaspettate potenzialita’ espressive. Riconoscendo I pregi contenuti in quelle che finora avrebbero potuto sembrare limitazioni, potrebbe, allo stesso modo in cui apprezzerebbe il trattamento dei Promessi Sposi descritto da Emilio Cecchi, apprezzarne il nuovo prestigio acquisito che, pur rispettandone l’ aspetto tradizionale, lo vedrebbe valorizzato per accogliere al meglio anche nuove esigenze. Abbiamo ambientato il viaggio iniziatico di Renzo e Lucia, come ci racconta Manzoni, tra citta’ e campagna, tra fatica e privilegio, tra canali e vicoli, tra cielo e terra, niente di piu’; potevamo farlo in cento modi, noi abbiamo scelto il nostro. In questo cono ottico formato dalla seta che scorre ma che diventa strada, Naviglio, spiraglio di luce o portatore di ombre minacciose, abbiamo voluto mostrare l’attualita’ non attualizzabile dei Promessi Sposi.

Lidia Bagnoli, Bologna, Settembre 2015


Il Satyricon di Maderna al Conservatorio di Milano

Emilio Sala Nov 10, 2017

Conservatorio di Milano, venerdì 3 novembre. Nella Sala Verdi, il grande e blasonato auditorium, oggi alquanto fané, è stata allestita una nuova struttura teatrale rimovibile con tanto di “buca” per l’orchestra.
Un progetto intelligente ed economico che si deve all’artista e architetto Lidia Bagnoli. Un’ottima idea e realizzazione! Mancava uno spazio teatrale al Conservatorio e questa soluzione, per quanto di ripiego, consente iniziative drammaturgico-musicali che non possono mancare in un conservatorio come quello di Milano. Tanto più che, a saperla bene interpretare, la formula del “saggio” offre un potenziale di grande interesse sia per il conservatorio sia per la città. Presentarsi al pubblico come un laboratorio che produce talenti e creatività dovrebbe essere quasi un dovere civico per un’istituzione come quella del conservatorio di Milano. Basti pensare all’Ottocento. Al conservatorio si sono viste le “prime”, che ne so, del Don Bucefalo di Cagnoni (1847) o delle Sorelle d’Italia di Boito e Faccio (1861).
Assaporare la creatività in statu nascendi è un godimento ossigenante (talvolta ansiogeno) e uno stimolo intergenerazionale che andrebbe incentivato il più possibile. Applaudo dunque all’iniziativa che ha portato sulla “scena” della Sala Verdi il Matrimonio segretomesso in scena da Pippo Crivelli (2014) o i Promessi sposi di Ponchielli (2015) e il Satyricon di Maderna che ho visto, appunto, il 3 novembre.Questi ultimi due spettacoli sono stati allestiti da Lidia Bagnoli con la regia di Sonia Grandis.
Nel Satyricon erano molto importanti anche le impudiche coreografie di Simone Magnani. A dirigere un’orchestra e un cast formato in gran parte da allievi di conservatorio (non solo di Milano) era l’esperto e navigato Sandro Gorli. Lo spazio della rappresentazione era contornato da archi pseudo-romani a tutto sesto “tipo EUR” che però sul davanti, per un effetto un po’ escheriano, potevano essere percepiti anche come bibliche tavole della legge. In fondo, al centro, su un piano rialzato, un grande oggetto scenico molto ben costruito: le famose orecchie col fallico coltello dell’apocalittico inferno musicale di Hieronymus Bosch. D’altronde il Satyricon di Petronio è stato un modello di “apocalissi” grottesca ossessivamente presente nella cultura italiana degli anni ’60-’70 del secolo scorso, in ragione sia del suo contenuto (crisi dei valori, decadenza, nomadismo, omosessualità, ecc.), sia della sua struttura (metalinguismo, frammentismo, parodia, plurilinguismo, ecc.).
Tra i casi più emblematici di riscritture/adattamenti da Petronio di quegli anni possono essere citati: Fratelli d’Italia di Alberto Arbasino (prima ed. 1963), il Fellini-Satyricon (1969), la traduzione libera di Edoardo Sanguineti illustrata da Bruno Cassinari (1969, poi ripresa con modifiche l’anno seguente col titolo di Il giuoco del Satyricon), la Cena di Joe Trimalchio, “madrigale drammatico per voci, coro e strumenti” di Giorgio Gaslini (1970), il Satyricon di Bruno Maderna (1973), appunto, e infine Petrolio di Pier Paolo Pasolini (che, iniziato nel 1972, non era ancora finito quando l’autore fu assassinato nel 1975).
Maderna ha scritto il suo Satyricon in limine mortis, come un collage compulsivo di citazioni. Anzi, si può dire che sia fatto tutto di citazioni e autocitazioni, con un sottinteso tra l’afasico e l’ecolalico. Un epitaffio per la tomba dell’avanguardia: la propria. Una delle citazioni più tragicomiche è l’habanera della Carmen, squisitamente riarrangiata, nella scena tra Eumolpo e Fortunata. Lo stesso vale per il valzer di Musetta che accompagna la celebrazione del famoso monumento funebre di Trimalchio cui seguono i “gladiatori” di Fučik (e qui Maderna strizza l’occhio al grottesco felliniano). Il tutto con una leggerezza da operetta che è la cosa più difficileda rendere musicalmente e teatralmente. Non è da tutti saper uscire di scena in
questo modo.